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Libretto di Le Piccole Storie

LE PICCOLE STORIE - Ai margini delle guerre
Opera da camera in un atto

Libretto di Giuseppe Di Leva
Musica di Lorenzo Ferrero
Personaggi:
Il Giornalista - attore
Il Giapponese attore - danzatore-mimo
Cinna - baritono
Schiava di Cinna - mimo
Georg - attore
Ulrich - attore
Irma - soprano
Épivent - tenore
Robic - baritono
Uomini - Sigaraia - Cameriere - Infermiera

Il ruolo del Giornalista è interpretato da più voci registrate. Può
avvenire che vi siano modifiche nella successione degli interventi.
 
I. Introduzione
Entra il Giornalista.

IL GIORNALISTA
Con la televisione, internet, i telefoni cellulari, la guerra è entrata nelle nostre vite, la possiamo seguire “in diretta”, come fosse uno spettacolo. È il “dirittodovere” dell’informazione e - quando non ci sono compiacimenti - serve se non altro a farci capire che, se in occidente non ci sono guerre da 60 anni, in molte parti del mondo ci sono ancora. In guerra muoiono i soldati e muoiono anche molti individui colpevoli soltanto di trovarsi in una zona di guerra, così come vengono sconvolte molte esistenze. Il caso - spesso decisivo in condizioni di vita normali - lo diviene ancora di più quando le condizioni non sono normali - come in guerra, appunto.
Un’immagine molto semplice. La guerra è come un sasso buttato in uno stagno: vediamo l’urto con l’acqua e i primi cerchi concentrici che si formano, le prime conseguenze. Ma se osserviamo per qualche istante in più, vediamo che i cerchi concentrici sono molto più numerosi e possiamo immaginare i microdrammi che si svolgono sotto la sua superficie. La guerra, cioè, modifica la vita anche di persone che non combattono, e che nemmeno si trovano nel “teatro di guerra”.
Nelle catastrofi naturali, per avere il numero “reale” delle vittime, si deve moltiplicare il numero “ufficiale” per tre. Impossibile sapere il numero reale di tutte le vittime di una catastrofe come è una guerra.
Vi racconteremo alcune storie di persone che hanno avuto la vita sconvolta dalla guerra. Le racconteremo con parole, con immagini ma anche con le possibilità
che ha la musica di suscitare emozioni. Storie brevi - Piccole storie, appunto.

Estate 1945. In Europa e in Africa, la Seconda Guerra Mondiale è finita da qualche mese con la caduta del nazismo e del fascismo. In Giappone, però, si continua
a combattere. Lo vuole il governo, forse anche l’imperatore Hirohito (letteralmente “Pace illuminata”), ma lo vuole anche larga parte della popolazione che intende “combattere fino all’ultimo uomo”: i giapponesi si considerano “figli degli dei” e non possono accettare l’idea della resa.
Il 6 agosto l’aviazione americana fa cadere su Hiroshima la prima bomba atomica della storia. Il Giappone, però, non si arrende. Tre giorni dopo la seconda atomica, questa volta a Nagasaki, in totale oltre centomila morti e un numero imprecisato di feriti e di persone colpite dalle radiazioni.
L’umanità ha scoperto il potere di poter distruggere se stessa. Si è discusso molto sui motivi che portarono gli Stati Uniti a quella decisione. Per alcuni, gli Stati Uniti temevano che i loro alleati sovietici avrebbero potuto arrivare in Giappone per primi, occuparlo e farne un territorio sotto il controllo comunista. Per altri, gli Stati Uniti temevano che uno sbarco in Giappone avrebbe provocato troppe perdite nel loro esercito. Ognuno di questi due motivi non esclude l’altro.
Una parte della società giapponese immagina che ora si stia arrivando alla resa, ma il 15 agosto il Giappone non si è ancora arreso. Quel giorno, un giovane uomo
d’affari giapponese torna a casa.
 
II. Il giapponese - a
Un uomo elegante e vestito all’occidentale torna a casa, una casa moderna, con qualche decorazione in antico stile giapponese. Si toglie la cravatta e si mette comodo. Si versa da bere. Si avvicina al telefono. In lingua giapponese chiede un numero di Roma al centralino. La comunicazione viene attivata.

IL GIAPPONESE
Come va? Da voi c’è già la pace … Non so… Non si capisce granché… Sì, è vero, hanno sganciato due bombe… No, il numero esatto non lo dice nessuno…
Bombe di nuovo tipo… Non so se ci arrenderemo, ma parliamo di cose più allegre. Come sta Marcello… Sì è vero…Cosa sono questi rumori?... Ah, la radio.
Forse farei bene ad accenderla anch’io…

Accende la radio. E improvvisamente le trasmissioni si interrompono per trasmettere una strana voce.

IL GIAPPONESE
C’è un uomo che parla…Non capisco chi è…Voglio sentire…

Interrompe bruscamente la telefonata.

 


IL GIAPPONESE
Aspetta, forse ci sono novità, ti richiamo al più presto.

Il discorso di Hirohito continua.
Il Giapponese è vivamente colpito dal discorso che sente. Prova un crescente disagio. Quasi senza volerlo, gli oggetti “giapponesi” della sua casa attirano la sua attenzione. Fra questi una spada da samurai.
Buio.

III. Il giornalista
IL GIORNALISTA
Vedremo più tardi come proseguì questa “piccola storia”.
Ora vediamo cosa accadde - 2000 anni fa - a un poeta, Cinna, contemporaneo “e amico personale” di Giulio Cesare.
Marzo 44 a.C.: un gruppo di senatori teme che Cesare voglia farsi proclamare re direttamente dal popolo. Sono suoi amici personali, ma sono anche convinti repubblicani, e così lo uccidono. I funerali sono per il giorno dopo. Il poeta Cinna si sveglia di prima mattina sentendosi in dovere di andare ai funerali di Giulio Cesare. Qualche minuto dopo sarebbe accaduto qualcosa di imprevedibile. Il poeta Cinna non sa che Marc’Antonio ha parlato al popolo. Ha parlato in modo abile e indignato, calcolato e furente. Ha inneggiato agli uccisori di Cesare - ma ora si rivolta contro di loro, vuole eliminarli. E il momento può favorire vendette personali. Avete notato che la parola “caos” è anagramma di “caso”?
E nel caos il caso si sbizzarrisce, si insinua come l’acqua, ovunque. Il caso si sbizzarrì anche con Cinna.

IV. Cinna
I. Una stanza. Un uomo e una donna in un letto. Dalla finestra la luce del mattino. L’uomo si sveglia, si alza, si veste silenziosamente. Sta per uscire quando la donna si sveglia, cerca Cinna nel letto, poi lo vede. Allora si alza. È molto seducente e cerca di riportare l’uomo a letto.

CINNA
Dormi… dormi… torno presto. Hai capito? Tor-no pre-sto.

Lei continua la sua seduzione.

 


CINNA
Sì… sì... mi piaci... mi piaci... ma devo andare...
 
Lei riesce a riportarlo verso il letto.
 
CINNA
Il tuo passo è quello della pantera…
Nei tuoi occhi, le sorgenti dei fiumi dell’Africa...
Le tue gambe sorreggono il mondo…
Un giorno capirai il poema che scrivo per te…

Si baciano, avvinghiandosi nel letto.

 


CINNA
Le trombe? Non senti? Comunque hanno suonato. Sono le trombe del funerale di Cesare. Devo andare.

Si riveste mentre lei cerca di trattenerlo.

CINNA
Ho sognato Cesare che mi invitava a pranzo in un luogo magnifico, sconosciuto e magnifico. Vuol dire che devo andare al suo funerale… Fino a ieri erano tutti amici di Cesare, tutti! Un’ora dopo che quei traditori l’avevano ammazzato, nessuno era più per Cesare, nessuno! Tu non puoi capire, ma Cesare era mio amico e io non posso far finta di niente…
Non odiarmi. Hai capito? Tor-no pre-sto.

Esce.
  
CINNA
Per un sogno e un funerale…
 
Lei gli tira una scarpa.

II. Cinna in un ambiente indefinito, forse per strada.

 


CINNA
Ma lui era Cesare…
Inutile non posso spiegare…
Sono pazzo,
non so godere l’attimo.
La lascio per un sogno,
un sogno e un funerale.
Aria di primavera…
Il profumo viene dal mare,
in un silenzio irreale.
Tornerò presto,
il sole guarderà
mentre ci amiamo,
nel tepore di primavera.
Le donne mute scivolano in casa,
è l’attesa.
Il tempo e la vita sembrano sospesi,
è l’attesa.

 
III. Cinna per strada. Viene fermato da un gruppo di uomini dall’aria bellicosa.

PRIMO UOMO
Dove vai?

CINNA
Al funerale di Cesare.

SECONDO UOMO
Perché?

CINNA
Ero suo amico.

SECONDO UOMO
Suo amico! E come ti chiami?

CINNA
Cinna.

SECONDO UOMO
E dici che eri suo amico? Traditore!

CINNA
Perché traditore?

SECONDO UOMO
Tu sei uno di quelli che lo hanno ammazzato!

TERZO UOMO
Assassino!

SECONDO UOMO
Quello è Cinna il Senatore, il Senatore Cinna.
 
TERZO UOMO
Facciamolo a pezzi!
(cercando il consenso degli altri.)

CINNA
Ma io sono Cinna il poeta, il poeta Cinna!
 
TERZO UOMO
E allora ti sbraniamo per i tuoi cattivi versi!

CINNA
Ma io non sono il congiurato!

PRIMO UOMO
Non importa, ti chiami Cinna. E allora ti strappiamo dal cuore solo il nome.

V. Il giornalista
IL GIORNALISTA
I motivi per cui si dichiarano le guerre spesso non sono quelli reali. In ogni caso, si tratta per lo più di interessi economici, politici, territoriali - con o senza motivazioni religiose. Ma esiste anche l’odio che non ha motivi materiali e nemmeno religiosi. Un istinto a distruggere il “diverso” - o più semplicemente l’altro - perché sembra insopportabile la sola idea che l’altro esista.
È la storia di due uomini che vivevano in una foresta dei Balcani. Provenivano da due famiglie che da generazioni si contendevano un bosco. La faida era divenuta più feroce da quando - a capo della famiglia realmente proprietaria del bosco - era arrivato Ulrich. Ulrich odiava Georg, il capo della famiglia rivale, perché Georg spesso cacciava di frodo in quel bosco. Ma anche perché provava un’avversione personale verso Georg, detestava la sola idea che Georg vivesse.
Georg entrava in quel bosco non per necessità di procurarsi cibo, ma per  Alimentare quell’odio. Una notte d’inverno, Ulrich scrutava il bosco da casa.
Nel muggire del vento tra gli alberi, Ulrich percepiva una presenza estranea. Si convinse che Georg era là. Allora prese il fucile, radunò i suoi uomini, entrò nel
bosco: se Georg era là lo avrebbe ucciso. Quando aggirò un enorme faggio, si trovò il nemico di fronte. Entrambi erano lì per uccidere ma entrambi esitarono un attimo. In quell’attimo la tempesta sradicò il faggio. I due nemici si trovarono a terra - vivi, ma immobilizzati dai rami. Quando riuscirono ad aprire gli occhi offuscati dal sangue delle ferite, si videro l’uno a un passo dall’altro…

VI. Gli intrusi
GEORG
(dopo una fragorosa risata)
Che magnifico scherzo! Il grande Ulrich preso in trappola nel suo bosco! Questa sì che è giustizia!

ULRICH
Sì, sono in trappola. Ma quando arriveranno i miei uomini, a te non piacerà essere preso come un bracconiere.
Ladro!

GEORG
Anch’io ho portato gli uomini. Sono qui vicino e quando mi avranno tirato fuori di qua faranno rotolare il tronco su di te. I tuoi ti troveranno morto sotto un
albero caduto, Ulrich. Manderò le condoglianze alla tua famiglia.

ULRICH
I miei uomini hanno l’ordine di raggiungermi entro dieci minuti.
(Devono esserne passati cinque.)
Quando arriveranno, mi ricorderò della tua idea e sarai tu a finire sotto il tronco. Nella mia terra. Quindi, non manderò condoglianze.

GEORG
Bene. Prolunghiamo la nostra lite fino alla morte - tu, io e i nostri uomini. Senza intrusi. Morte e dannazione a te, Ulrich!

ULRICH
Altrettanto a te, maledetto predone!

Tacciono.

ULRICH
Sarà il caso a decidere chi vivrà.

GEORG
Va bene così.

Tacciono.

 


GEORG
Che stai facendo?

ULRICH
Ho liberato un braccio e ho preso la fiaschetta di grappa.

GEORG
Che ti vada a rovescio.

ULRICH
Mi riscalderà, invece.

Tacciono.

 


ULRICH
Riesci a prenderla?

GEORG
Che hai detto?

ULRICH
Riesci a prenderla?

GEORG
Cosa?

ULRICH
La grappa. Ti sto offrendo da bere.

 
GEORG
Tu? Tu mi offri da bere?

ULRICH
Beviamo, anche se tra poco uno di noi morirà.

GEORG
Non vedo niente, ho il sangue intorno agli occhi.
Comunque, non bevo con un nemico.

Tacciono.
ULRICH
Ascolta. Se i tuoi uomini arriveranno per primi…

 
GEORG
Arriveranno per primi.

ULRICH
Bene. E tu farai come vuoi.

GEORG
Sicuro.

ULRICH
Ma io ho cambiato idea. Se arriveranno prima i miei, tu sarai liberato per primo, come un ospite.

GEORG
Uno dei tuoi soliti imbrogli.

ULRICH
Ci siamo fatti la guerra come diavoli per uno stupido bosco, dove gli alberi non resistono al vento. C’è qualcosa di meglio che litigare per un confine. Ti chiederò
di essere mio amico.

Tacciono.

ULRICH
Sei ancora vivo?

GEORG
Pensavo. Le nostre famiglie non si parlano amichevolmente da un secolo. Che faccia farebbero tutti se ci vedessero arrivare insieme al mercato… I nostri uomini
sarebbero contenti. Se faremo pace, nessun intruso potrà mettersi in mezzo… Tu verrai nella mia casa a San Silvestro, io nella tua a Pasqua. Anch’io ho cambiato
idea e se mi offri la tua grappa sono tuo amico.

ULRICH
Tieni.

Tacciono.

GEORG
Cosa dici?

ULRICH
Niente. Pregavo perché arrivino i miei a liberarti.

GEORG
Arriveranno prima i miei a liberare te.

ULRICH
È calato il vento. Proviamo a chiamare aiuto.

Insieme chiamano aiuto, poi tacciono.

GEORG
Possibile non ci senta nessuno? Chiamiamo ancora.

Chiamano aiuto.

 


ULRICH
Mi sembra di aver sentito qualcosa.

GEORG
Io no.

ULRICH
Sì, c’è qualcuno…

GEORG
Io non vedo niente.

ULRICH
Stanno venendo dal sentiero che ho fatto io…

GEORG
Forse sono i tuoi.

Ulrich grida qualche nome. Georg chiama aiuto.

ULRICH
Ci hanno sentiti.

GEORG
Che fanno?

ULRICH
Si sono fermati.

GEORG
Maledetto sangue! Non vedo niente.
 
ULRICH
Vorranno capire da dove vengono le nostre voci.
(grida ancora)
Si sono mossi. Vengono di qua. Stanno correndo
lungo la discesa!

GEORG
Sono i tuoi? Perché non rispondi? Sono i tuoi?

ULRICH
(con una debole, tremolante risata)
No.

GEORG
Chi sono?

ULRICH
Lupi.

VII. Il giornalista
Sul fondo, carta geografica dell’Europa a metà Ottocento.

IL GIORNALISTA
Nel 1870, la Prussia era uno stato che corrispondeva più o meno al nord-est dell’attuale Germania. Per ambizioni espansionistiche e per compiere il passo
che credeva decisivo per la riunificazione del paese, la Prussia dichiarò guerra alla Francia.
A sua volta, la Francia stava vivendo il suo II Impero con Napoleone III. L’apparenza era sontuosa: era una società che rappresentava con sfarzo ogni suo gesto. Parigi si gonfiava come per divenire capitale del continente, i boulevards entusiasti, i teatri gremiti, le esposizioni universali portavano milioni di visitatori.
Ma accade spesso: questa magnificenza nascondeva gravi piaghe sociali e un senso di vanità del presente. L’esercito, erede della tradizione di Napoleone I, entrò in guerra con baldanza. A Rouen, capoluogo della Normandia e vicina al confine tedesco (indica la carta geografica), stanziava un reggimento di Ussari, il cosiddetto “fior fiore” dell’esercito francese…

VIII. Letto ventinove - a
I. Il capitano Épivent e il capitano Robic - entrambi
giovani. Entrano in un cabaret. Un pianoforte.
Atmosfera allegra.

 


ROBIC
Ma quante belle donne!
Sembrano qui per noi.

ÉPIVENT
Sono qui per noi.
Tutte per noi.
Champagne, un po’ di denaro,
le fai divertire,
non chiedono di più.
Vietato l’amore,
vietato pensare,
poi devi partire,
un altro arriverà.

ROBIC
Ti guardano tutte,
è sempre così.
Qual è il tuo segreto,
Épivent?

ÉPIVENT
Nessun segreto,
è tutto evidente.
Faccio capire
che non ho tempo.
Deve accadere
la prima notte.
Come prede di caccia:
sono loro a volerlo.

Si guardano intorno, poi le luci si abbassano. Il pianista
preludia. La Cantante si avvicina al pianoforte.

ROBIC
Che donna!
Ti piace?

ÉPIVENT
Sì, ma a lei piaci tu.

ROBIC
Io?

ÉPIVENT
Fidati, Robic.

ROBIC
Chiss...

ÉPIVENT
Ssst!
La cantante attacca la sua aria.

IRMA
En passant par la Lorraine
avec mes sabots,
en passant par la Lorraine
avec mes sabots,
rencontrai trois capitaines
avec mes sabots,
dondaine, oh, oh, oh!
Avec mes sabots.

Ils m’ont appelée: vilaine!
Avec mes sabots,
ils m’ont appelée: vilaine!
Avec mes sabots.
Je ne suis pas si vilaine
avec mes sabots,
dondaine oh, oh, oh!
Avec mes sabots.

Je ne suis pas si vilaine
avec mes sabots,
je ne suis pas si vilaine
avec mes sabots,
puisque le fils du roi m’aime,
avec mes sabots,
dondaine, oh, oh, oh!
Avec mes sabots.

Intanto i due ufficiali continuano la conversazione.

 


ROBIC
Chissà se ha un marito…

ÉPIVENT
Ma quale marito!
Di certo un amante.
Non mi credi?
(a una Sigaraia)
Non ricordo il nome...
Dell’amante di Irma...
di madame Pavolin...

La Sigaraia tace. Épivent le passa dei soldi.

 


SIGARAIA
Templier-Papon, l’industriale.

Épivent ammicca soddisfatto a Robic. La Sigaraia si allontana.

 


ROBIC
La Lorena...
Partiremo anche noi?

ÉPIVENT
(scherzando)
Non sai che la vita
è un filo sottile,
Robic?
Quando stai qua
non farti domande.

La Cantante finisce di cantare. Applausi.

 


ROBIC
Sì, mi ha guardato.

ÉPIVENT
(a un Cameriere)
Champagne!

ROBIC
Per noi due?

ÉPIVENT
Pago io,
festeggiamo.

La Cantante passa tra il pubblico. Si avvicina al tavolo
dei due, dà un biglietto a Épivent e si allontana.

 


ROBIC
(esterrefatto)
Ma... cosa c’è scritto?

ÉPIVENT
L’indirizzo e... “quando vorrai”.

ROBIC
(astioso)
Come prede di caccia,
hai detto così?
(Esce con rabbia.)

 


II. Notte. Épivent da solo in mezzo a una strada.
 
ÉPIVENT
Nemmeno una parola.
È bastato uno sguardo
per capire,
che io e lei siamo uguali.
Non ci sono altre domande,
non ci sono altre risposte,
per capire,
che io e lei siamo uguali.
Siamo atomi
che si attraggono,
siamo fuochi
di giovinezza,
tutto qua.

III. Casa di Irma. Irma guarda dalla finestra.
Épivent si guarda allo specchio e scruta anche lei.

 


ÉPIVENT
Cos’hai?

IRMA
Non lo sai?
È un giorno speciale.
È un anno da quando...

ÉPIVENT
Un anno...
Stasera usciremo.

IRMA
Quanto durerà?

ÉPIVENT
Ricordi? La nostra promessa:
nessuna malinconia. Mai!

IRMA
È stato solo un brivido.
Baciami capitano.
Baciami!

Si baciano. Colpi alla porta. Una lettera passa sotto l’uscio.

 


IRMA
Una lettera...

ÉPIVENT
Il tuo amante che scrive ancora.

IRMA
Non è più il mio amante.
(prende la lettera)
È per te.

ÉPIVENT
(apre la lettera)
È la guerra.
Si parte domani.

IRMA
No!

ÉPIVENT
Lo sapevamo.
Poteva accadere.

IRMA
(abbracciandolo)
No!

ÉPIVENT
Lo sapevamo.
Doveva accadere,
mia piccola Irma.
Ci rimane una notte.

IRMA
(gli sfiora un occhio)
Ma tu piangi, Épivent.

ÉPIVENT
Ci rimane una notte,
mia piccola Irma.
 
IRMA
Piangi ancora, Épivent.

ÉPIVENT
Eppure lo sapevo,
Poteva accadere,
è quasi banale.
(a due)
Vivevamo sospesi,
ma poteva accadere
in ogni momento.
Ancora una notte,
una notte d’amore
per non dimenticare.
È l’ultima notte
una notte d'amore,
soltanto per noi.

IX. Il giornalista
IL GIORNALISTA
La voce che il giovane uomo d’affari giapponese si trovò ad ascoltare dalla radio il 15 agosto 1945, era quella dell’imperatore Hirohito. In un’epoca in cui la televisione non esisteva, era la prima volta che i giapponesi sentivano la voce del sovrano. Molti capirono in ritardo chi stava parlando. D’altra parte, l’imperatore
parlava il linguaggio di corte, lontano da quello della popolazione. Inoltre, l’imperatore preferiva essere non del tutto chiaro: il Giappone si arrendeva,
ma la dichiarazione doveva contenere un margine di ambiguità. In ogni caso, si trattava - appunto - della resa. La dichiarazione rappresentò un trauma anche
per quei cittadini che ritenevano probabile la resa…

X. Il giapponese - b
Girando stordito per la casa, riguarda gli oggetti giapponesi.
Lo sguardo torna alla spada da samurai. Con gesti pensosi e studiati si toglie l’abito occidentale e indossa un vecchio costume del nonno. Si inginocchia e inizia la cerimonia del suicidio tradizionale. La scena si oscura lentamente.
 
 
XI. Il giornalista
IL GIORNALISTA
L’esercito francese era entrato in guerra con baldanza, ma non era preparato adeguatamente. Fu travolto dal nemico e la cavalleria prussiana sfilò per i boulevard
di Parigi.
Il capitano Épivent tornò a Rouen ma non trovò Irma ad aspettarlo…

XII. Letto ventinove - b
IV. Un gruppo di ufficiali. Tra loro, Robic. Quando entra Épivent alcuni ridacchiano e si danno di gomito, altri escono in fretta. Épivent affronta Robic.

ÉPIVENT
Tu non ti muovi di qua!

ROBIC
Che ti prende? Sei nervoso?
La guerra l’ha persa la Francia,
e non solo tu.

ÉPIVENT
La guerra non c'entra.
Cosa nascondete?
Perché ridete sempre di me?

ROBIC
Tu sei pazzo!

ÉPIVENT
Voi sapete di Irma!
Voi sapete dov'è!

ROBIC
La cantante?
Ma tu non dicevi:
“poi devi partire,
un altro arriverà.”?

ÉPIVENT
Dimmi dov'è!

ROBIC
Fatti fottere!

Épivent gli dà un pugno. Gli altri ufficiali li trattengono.


ROBIC
La trovi all’ospedale la tua Irma!
Ma non è un bel reparto Épivent.
(mentre Épivent si allontana)
“Come prede di caccia”...
E lei l’hanno presa.

V. Una corsìa di ospedale. Un cartello: “Sifilitiche”.
Épivent e un’infermiera.


INFERMIERA
Letto 19.
(segue Épivent con lo sguardo. Al letto 19 Épivent vede una sconosciuta)
No, ventinove.

Épivent trova il letto di Irma, che sta dormendo.


IRMA
(svegliandosi)
Épivent!
Come sono felice!
Dammi un bacio,
qui, sulla fronte.
Hai avuto la mia lettera...

ÉPIVENT
Quale lettera?

IRMA
Ti ho scritto...
Volevo rivederti...
Un’ultima volta...
Hai la croce al valore...

ÉPIVENT
Cosa ti è successo?

IRMA
L’hai visto sulla porta.
Sifilide.
Porci Prussiani!
Mi hanno preso quasi per forza.

ÉPIVENT
Che significa “quasi”?

IRMA
Tu dicevi:
“non si fanno domande”.
E ora mi chiedi
che significa quasi?

ÉPIVENT
Il reggimento ride di me.

IRMA
Ah certo!
È il reggimento che importa!

ÉPIVENT
È la mia vita.

IRMA
E la mia?
Non conta niente la mia?
Se fossi rimasta col mio amante
non sarei qui a morire.
Ma parliamo di noi.
Abbiamo poco tempo.

(Pausa).

ÉPIVENT
Perché non hai voluto curarti?

IRMA
Non vuoi capire.
Quei porci mi hanno appestata,
e io non mi sono curata
per appestare quei porci.

ÉPIVENT
È comunque vergogna.

IRMA
Hai detto vergogna?
Accettare la morte
per sterminare quei porci è vergogna?
Voi li avete fatti arrivare fin qua,
questa è vergogna!
Quella croce la merito io!
Di nemici ne ho uccisi di più.
Le altre ammalate si alzano sui letti.

ÉPIVENT
Ti prego, non qui...

IRMA
Allora dove?
Io uscirò morta.

ÉPIVENT
Taci... taci...

IRMA
Tu vieni qui
e mi dici “vergogna”.
Se non li facevate passare
non sarebbe successo,
Questa è vergogna!

ÉPIVENT
Taci... ti prego...

IRMA
Vattene, vigliacco!
Di nemici ne ho uccisi di più.
Ne ho uccisi più io!
Ne ho uccisi più io!
Ne ho uccisi più io!

Continua a ripeterlo in delirio. Épivent esce.
Magazzini Sonori
Proprietà dell'articolo
creato:giovedì 15 maggio 2008
modificato:lunedì 9 agosto 2010