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Kát’a Kabanová

Opera in tre atti di Leóš Janáček su libretto proprio, tratto dal dramma Groza ("L'Uragano") di A.N. Ostrovskij nella traduzione ceca di V. Červinka.
Prima rappresentazione: 23 novembre 1921, Teatro Nazionale di Brno.
Ispirata (e dedicata) alla giovane K. Stösslová, quest'opera, fra le ultime quattro che costituiscono il testamento drammaturgico di Janáček, è senza dubbio la più convenzionale per la vicenda narrata.
Nell'anno della sua morte (1928) Janáček revisionò leggermente, con nuovi interludi, l'opera.
 
Trama: nella città di Kalinov sulle rive del Volga, negli anni Sessanta del'Ottocento.
Atto I. Scena I. Kudrjáš, chimico alle dipendenze del mercante Dikoj, è in compagnia della servetta Glaša. Giunge Dikoj, che sta sgridando il nipote Boris. Questi, rimasto solo con Kudrjáš, confessa il suo amore per una donna sposata. In quel momento Kát’a, col marito, il mercante Tichon Kabanov, e la madre di lui Kabanicha sfilano sul fondo. Kabanicha ordina al figlio di recarsi al mercato di Kazan, rimproverandolo di trascurarla per la nuora. Quando, partita la madre, anche Tichon rimprovera Kát’a, la donna viene difesa da Varvara, la trovatella di casa. Scena II. Rimasta sola con Varvara, Kát’a le rivela il suo disagio e il rimpianto per la vita prematrimoniale. Prova una costante inquietudine e, insieme, la sensazione di un disastro incombente. È come se qualcuno, forse il diavolo, le sussurrasse qualcosa e lei avesse voglia di seguirlo. Giunge il marito e Kát’a lo supplica di non andare a Kazan, o almeno di farle giurare che, in sua assenza, non parlerà, guarderà o penserà a nessun altro. Ma egli non capisce la situazione. Giunge Kabanicha ed elenca la serie dei doveri umilianti cui Kát’a sarà sottoposta in assenza di Tichon: sarà la suocera a vegliare su di lei. Al termine, il marito parte.
Atto II. Scena I. Kabanicha sgrida la nuora perché, in pubblico, non mostra tristezza per l'assenza di Tichon. Uscita la vecchia, Varvara dà a Kát’a la chiave del giardino, sottratta a Kabanicha. Se vedrà Boris, aggiunge la trovatella, gli dirà di venire al cancello. La donna è combattuta, poi decide di andare, mentre la suocera, rientrata, deve respingere i goffi approcci di un Dikoj ubriaco. Scena II. Frattanto, al di fuori del castello, giunge Kudrjáš con una chitarra e canta una serenata per Varvara. Giunge anche Boris, che spera in un incontro con Kát’a. L'altro cerca di dissuaderlo ma poi, all'arrivo di Varvara, si allontana con lei. Quando Kát’a e Boris si incontrano, lei appare riluttante; poi, appreso dell'amore di lui, dichiara con cautela di contraccambiarlo e i due si allontanano mano nella mano. Kudrjáš, tornato con Varvara, li richiama all'ordine e Kát’a rientra affannosamente in casa.
Atto III. Scena I. All'inizio di una tempesta, Kudrjáš e l'amico Kuligin si rifugiano in un rudere presso il Volga. Arriva anche Dikoj che discute col dipendente sulla natura dei temporali: castighi di Dio o scariche elettriche? Cessa la pioggia, giunge Varvara e, poco dopo, Boris. La giovane lo avverte che Tichon è tornato e Kát’a sta per raccontargli tutto. Entra la donna e tutti si nascondono, eccetto la trovatella, che tenta di farla ragionare, invano. Mentre la tempesta riprende, giungono Tichon, Kabanicha e Dikoj, e Kát’a, disperata, si accusa davanti a loro, facendo anche il nome di Boris. Poi, fugge nella tempesta. Verso sera, in riva al fiume, Tichon e Glaša cercano di rintracciarla, mentre Kudrjáš e Varvara, che è stata segregata da Kabanicha, si reincontrano per fuggire assieme. Scena II. Kát’a avanza tutta sola: è pentita di avere coinvolto Boris e vuole rivederlo. Il giovane arriva: è stato spedito a lavorare in Siberia. I due si dicono addio, non prima che Kát’a gli abbia chiesto di fare l'elemosina a tutti i poveri che incontrerà. Partito Boris, Kát’a si getta nel fiume. Poco dopo, Dikoj trova il suo cadavere, Tichon accusa la madre di questa morte, Kabanicha, impassibile, ringrazia tutti per aver partecipato alle ricerche.
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Proprietà dell'articolo
creato:lunedì 21 aprile 2008
modificato:lunedì 21 aprile 2008